Le libere professioni, per le loro caratteristiche di autoimprenditorialita`, capacita` di espansione e valenza produttiva e occupazionale, rappresentano un punto di riferimento irrinunciabile del nostro sistema economico e sociale.
In controtendenza rispetto a quanti auspicano la sostituzione degli studi professionali con « societa` di servizi », per dare spazio a un mercato non regolamentato, affermiamo che si manifesta, sempre piu` forte, l’esigenza di eticità e sicurezza per i cittadini e per le imprese che si avvalgono dei servizi dei professionisti.
E` errato, infatti, ritenere che la regolamentazione delle professioni costituisca un relitto del passato, un privilegio di casta estraneo ai princıpi democratici e alle necessita della societa` futura. Gli attuali ordini professionali non discendono affatto dalle corporazioni medioevali.
In Italia, gli ordini professionali risalgono al periodo liberale, quando vennero istituiti gli albi degli avvocati (1874), dei notai (1879) e, successivamente, dei ragionieri (1906), dei sanitari (1910), degli ingegneri e architetti (1923).
Gli ordini piu` recenti sono stati istituiti nel periodo repubblicano. La normativa fondamentale e` costituita tuttora dal decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382, che riorganizza su basi democratiche gli ordini e i collegi professionali, per cui gli organi di vertice sono esponenziali del corpo professionale e liberamente eletti dall’assemblea degli iscritti. La Costituzione repubblicana ha riconosciuto l’importanza sociale delle libere professioni, prescrivendo l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione (articolo 33) e, piu` in generale, affermando il principio della tutela del lavoro in tutte le sue forme (articolo 35).
Con lo sviluppo della legislazione comunitaria si apre l’attuale fase di integrazione dei mercati che coinvolge anche le professioni: il Trattato istitutivo della Comunita` europea che afferma il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei servizi, la direttiva 89/48/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sui criteri per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio superiori, e la direttiva 92/51/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, sulla liberta` di esercizio delle professioni in generale.
Dalla legislazione comunitaria non deriva affatto la necessita di deregolarizzazione delle professioni intellettuali, di abolizione di ordini, tariffe, controlli all’accesso.
Inoltre, da un esame comparatistico della legislazione europea, non si evince l’esistenza di un modello unitario contrapposto al nostro, ma solo il permanere, soprattutto in Inghilterra, di tradizioni diverse in alcuni ambiti di attivita`.
In particolare, i professionisti anglosassoni sono iscritti ad associazioni private ristrettissime, caratterizzate da una esasperata selezione, senza possibilità di ingresso per chiunque abbia fatto lo stesso corso di formazione: l’ingresso nell’associazione, per l’aspirante professionista, dipende esclusivamente da una decisione discrezionale, basata su presupposti quali la conoscenza personale, il censo o altro, che danno vita a veri e propri « privilegi ».
Ricordiamo, inoltre, il criterio seguito in altri Paesi europei sul tema delle Società professionali: in Germania, di recente, e` stata emanata una legge che consente anche agli avvocati di esercitare la professione forense in forma societaria sotto diverse forme, tra le quali la societa` a responsabilita` limitata. Per queste societa` tra avvocati sono esclusi i soci di mero capitale. In Francia vi sono diverse forme societarie che consentono comunque ai professionisti esercenti la loro attivita` all’interno della stessa societa` di detenere la maggioranza del capitale sociale. Pero`, per ciascuna professione il Consiglio di Stato ha la facolta` di limitare o interdire del tutto il possesso di quote o azioni a determinate categorie di persone fisiche o giuridiche quando la loro partecipazione potrebbe mettere in pericolo l’indipendenza e il rispetto delle regole deontologiche.
Quindi, in entrambi gli altri ordinamenti-guida del diritto continentale europeo si e` marcata l’attenzione alla tutela dei profili pubblicistici delle professioni, con l’introduzione di precisi limiti tendenti a impedire derive mercantilistiche nell’esercizio dell’opera professionale. C’e` insomma una certa tendenza a distinguere tra forma organizzativa e modus operandi: da un lato si riconosce l’opportunita` di consentire agli studi professionali l’adozione di modelli organizzativi idonei a riunire forze e competenze plurime o diverse per meglio rispondere alla domanda della committenza e affrontare la competizione globale; dall’altro, si ribadisce che l’adozione di un modello organizzativo di origine mercantile non deve snaturare le caratteristiche di « esperto indipendente e autonomo nelle proprie scelte tecniche », che e` tratto tipico del professionista intellettuale.
Anche la legge 21 dicembre 1999, n. 526 (legge comunitaria 1999), che, nel prevedere l’attuazione della direttiva 98/ 5/CE in materia di esercizio della professione di avvocato, consente la pratica della professione sotto forma societaria, ma unicamente come societa` tra professionisti iscritti all’ordine, muove nella stessa direzione.
Proprio partendo dalle esigenze poste dall’unificazione dei mercati dei servizi nel territorio dell’Unione europea, sono sorti vivaci contrasti sulla base delle presunte antinomie tra la liberta` di stabilimento e circolazione e i limiti di ordine pubblico posti dalle leggi nazionali. Nei pareri espressi da parte dell’Autorita` garante della concorrenza e del mercato e in talune passate proposte di legge si era inteso risolvere tali antinomie, solo all’apparenza inconciliabili, con la mera assimilazione della prestazione professionale al prodotto dell’impresa di servizi. Da tale postulato, che confonde il modello organizzativo con la natura della prestazione fornita dal soggetto organizzato, possono derivare gravi conseguenze negative per tutta la collettivita` e per la tutela del pubblico interesse, che con la presente proposta di legge, invece, si intende garantire.
In particolare, la posizione dell’Autorita` antitrust italiana non solo e` errata, travisando o perfino ignorando talune recenti direttive europee (vedi per tutte la n. 36 Zappala` ), ma e` anche dannosa e pericolosa rispetto ai propri obiettivi istituzionali:
Se la soppressione degli ordini e delle tariffe, cosi come appare, avesse per conseguenza, se non per obiettivo finale, il passaggio della titolarità dei servizi professionali in capo a « chiunque », e quindi anche alle grandi imprese, come da anni richiesto da Confindustria, banche ed altri, riducendo i professionisti a bracciantato intellettuale di queste ultime, si realizzerebbe una nefasta concentrazione dei servizi professionali in capo a pochi, un vero e proprio oligopolio che da un lato porterebbe alla distruzione del tessuto professionale italiano (caratterizzato da grande qualità e dal rispetto della deontologia) e dall’altro si ritorcerebbe a danno del consumatore.
Il principio che vogliamo salvaguardare e` il diritto del cittadino e delle imprese di « scegliere » soggetto professionale sul mercato, con la garanzia pero` che la prestazione professionale provenga da chi ha seguito la formazione universitaria prevista dalla normativa vigente e un tirocinio professionalizzante, o comunque superato l’esame di Stato previsto dall’articolo 33 della Costituzione, e sia tenuto a doveri di indipendenza, lealta` e correttezza che ogni ordine professionale deve impegnarsi garantire sempre piu` , assicurando al cittadino la tutela verso il professionista infedele.
In sintesi: l’offerta dei professionisti sul mercato italiano oggi non solo esiste, ma e` amplissima (si pensi che solo gli avvocati sono quasi 170.000), percio` la concorrenza, in concreto, esiste gia`. Ma la concorrenza non e` un bene assoluto, e ha le sue patologie, che l’ordinamento deve prevenire.
Per le professioni intellettuali, quindi, il cui oggetto investe in genere beni primari o perfino costituzionalmente protetti, come la liberta` o la salute, il « pubblico interesse » da porsi a garanzia cittadini e` che la concorrenza in ambito professionale si svolga tra soggetti all’altezza del compito loro richiesto; percio` prima va garantita la formazione obbligatoria, la qualita` e l’aggiornamento permanente,poi viene il mercato.
Tale e` infatti il criterio del « pubblico interesse » tenuto in considerazione nelle decisioni della Corte di giustizia europea, con una ponderazione della liberta` di circolazione dei servizi con gli interessi contingenti perseguiti dalle norme nazionali limitative. E` bene ricordare che secondo la Corte di giustizia il principio economico del mercato unico subisce « eccezioni » quando le norme nazionali perseguono « interessi pubblici » che l’ordinamento comunitario riconosce prevalenti (vedi sentenze Sager, 1990; Gebhard, 1995; Alpine Investments, 1995).
Il Parlamento europeo, il 5 aprile 2001, ha adottato una significativa risoluzione (B5-0247/2001) « sulla legittimita` delle tariffe di alcune libere professioni, in particolare per gli avvocati, e sulla particolarita` del ruolo e della posizione delle libere professioni nella societa` moderna », dichiarando quanto segue: « le libere professioni rappresentano uno dei pilastri del pluralismo e dell’indipendenza all’interno della societa` ed assolvono a ruoli di pubblico interesse »; « le regole che sono necessarie, nel contesto specifico di ciascuna professione, per assicurare l’imparzialita`, la competenza, l’integrita` e la responsabilita` dei membri della professione stessa, o per impedire conflitti d’interesse e forme di pubblicita` ingannevole, e che non ostacolano peraltro la libera circolazione dei servizi, non sono considerate restrizioni del gioco della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del Trattato »; « le libere professioni siano l’espressione di un ordinamento fondamentale democratico basato sul diritto e, piu` specificamente, rappresentino un elemento essenziale delle societa` e delle collettivita` europee nelle loro varie forme »; « l’importanza delle norme, in conformita` con i dettami degli articoli 81 e 82 del Trattato, che sono stabilite dalle categorie professionali, sotto la loro responsabilita`, al fine di garantire la qualita` dei servizi, di fissare specifici standard di valore, di assicurare l’osservanza delle norme stesse secondo i canoni della professionalita` e di tener conto anche dell’etica professionale ».
Il Parlamento europeo ritiene quindi che: la legislazione nazionale debba considerare « gli elevati requisiti richiesti per l’esercizio delle libere professioni, la necessita` di salvaguardare quelli che distinguono tali professioni a beneficio dei cittadini europei e la necessita` di instaurare tra i liberi professionisti e i loro clienti un rapporto specifico fondato sulla fiducia »; « si debbano rispettare, applicando il principio della sussidiarieta`, le diversita` che hanno le loro radici nella cultura, nella storia giuridica, nella sociologia e nell’etnologia delle varie categorie professionali degli Stati membri »; « che gli Stati membri siano autorizzati a stabilire tariffe obbligatorie tenendo conto dell’interesse generale (e non solo di quello della professione) e a salvaguardare gli elevati livelli morali, etici e di qualita` »; « che l’obiettivo di promuovere la concorrenza nelle professioni vada conciliato, in ciascun caso, con quello di mantenere norme puramente etiche specifiche per ciascuna professione ».
Pertanto non e` corretto affermare che il diritto comunitario imponga di smantellare le discipline nazionali sulle professioni.
Le pressioni verso una de- regolarizzazione derivano piuttosto da una falsa rappresentazione della realta` del mercato, generate dall’asimmetria tra domanda e offerta nell’occupazione giovanile e dalla crisi nei settori della produzione industriale, che si vorrebbe compensare con l’espansione del capitale finanziario nel terziario, soprattutto nel settore dei servizi professionali. Rispetto a cio`, l’indiscriminato aumento del numero dei professionisti e` in realta` funzionale all’idea di ridurre i costi della committenza disponendodi un’ampia sacca di manodopera intellettuale a basso costo, cui affidare il lavoro considerato routinario. Tale idea e` malsana: nella moderna societa` dell’informazione il sapere intellettuale ha comunque un costo elevato, necessitando di aggiornamento e formazione continua, e chi non puo` sostenerlo non solo e` fuori dal mercato, ma e` un pericolo per chi ci si affida.
Chi patrocina la liberalizzazione selvaggia delle professioni intellettuali omette poi di considerare che tali professioni rappresentano un rilevante fattore di democratizzazione e di modernizzazione, come accreditato dai piu` recenti studi sul settore: ad esempio, assicurano la mobilita` sociale, sulla base del merito, invece che sulla base della nascita, della classe di appartenenza e della fortuna; sono state il primo ambiente di lavoro che ha introdotto l’eguaglianza tra i sessi; sono un ambito aperto e in espansione, tanto che gli addetti si moltiplicano ogni anno e il fatturato e` pari al 7 per cento del prodotto interno lordo nazionale. Dagli ultimi rapporti del CENSIS risultano iscritti agli albi piu` di 1,8 milioni di professionisti, cui ne vanno aggiunti 500.000 appartamenti all’area sanitaria non medica, grazie all’istituzione, con la legge n. 43 del 2006, di nuovi albi e ordini delle professioni sanitarie, per un totale di 2,3 milioni.
Certamente, in questo insieme esistono problematiche differenti poste dalle professioni a disciplina ordinistica, da quelle semplicemente riconosciute e, infine, da quelle professioni emergenti che aspirano ad una regolamentazione.
La presente proposta di legge intende adeguare l’ordinamento delle libere professioni alle necessita` della odierna societa` in Europa, anche consentendo la costituzione di societa` fra professionisti, secondo il principio dell’autodeterminazione, lasciando agli operatori la scelta di costituire associazioni temporanee, società tra professionisti su base personale o di capitale. Inoltre la presente proposta intende rinnovare gli Ordini rendendoli piu` trasparenti, democratici, aperti ai giovani e alle nuove esigenze dei professionisti e dei cittadini.
Adeguamento che va previsto salvaguardando sia le funzioni di interesse generale, sia le attribuzioni di interesse pubblico proprie di alcune di esse, la tutela degli interessi del cliente, da realizzare in modo piu` efficace anche in considerazione della normativa comunitaria.
La riforma rispetta le caratteristiche essenziali delle attivita` professionali che hanno natura intellettuale, anziche´ meramente tecnica, e pertanto si distinguono da altri servizi per il contenuto creativo e inventivo fondato sulla detenzione « del sapere e della conoscenza specializzati ». Il rapporto professionale e` di tipo fiduciario e personale (affidamento all’intuitus personae), comporta la diretta responsabilita` del prestatore di opera intellettuale, anche quando il mandato e` assunto in forma collettiva, e presuppone l’assoluta indipendenza del professionista, che deve agire secondo scienza e coscienza.
La tutela del cliente del professionista assume aspetti piu` intensi e problematici rispetto al consumatore o all’utente di un servizio tecnico: la garanzia deve avvenire non solo sulla quantita`, ma particolarmente sull’accertata qualità della prestazione.
E deve esservi innanzitutto una verifica della capacità del professionista di esercitare la professione: in nessun altro modo si potrebbe garantire il cittadino dal rischio di prestazioni inadeguate, in quanto, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, gli esiti – e gli eventuali danni sociali nel caso di prestazioni fornite da un professionista non qualificato – non sono immediatamente valutabili dall’interessato.
Non si e` ritenuto di accogliere la tesi di chi vorrebbe abbandonare alla sola legge del mercato, consentendo a chiunque lo svolgimento dell’attivita` professionale, l’accesso alle professioni, la pubblicita`, il compenso delle prestazioni. In effetti, l’attivita` del libero professionista, per il grado particolare di preparazione richiesto e per la fiduciarieta` dell’incarico su cui fa affidamento il cliente e, soprattutto, per il valore degli interessi tutelati, non e` riconducibile alla prestazione anonima di servizi commerciali ne´ all’attivita` imprenditoriale.
Il superamento della concezione dialettica fra capitale, impresa e lavoro non comporta l’assimilazione di ogni fattore a un’unica dimensione del mercato.
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